Il sistema italiano di Relazioni Industriali e Marchionne.Alternative,n.15 del marzo 2011

Tanto è stato scritto e detto in appuntamenti televisivi, in questi ultimi due mesi, sulla Fiat e su Marchionne che si possono considerare noti a tutti i fatti basilari; ciò consente di concentrarsi sulla valutazione degli effetti sistemici di quanto sta accadendo.

Il primo sguardo d’assieme riguarda il sistema di relazioni industriali italiano. Che cosa ci insegnano gli avvenimenti recenti? Il sistema di relazioni industriali italiano può essere aggirato e liquidato da un attore determinato e aggressivo come Marchione. Ciò è ovviamente possibile se si determinano una serie di condizioni sia soggettive, i comportamenti cioè degli altri attori, sia oggettive, una reale situazione di disequilibrio nei rapporti tra le imprese, i lavoratori e i sindacati.

Il significato ultimo dell’accordo di Mirafiori, infatti, è la sua qualificazione, concordata tra le parti, come contratto di primo livello[1], cioè di grado eguale a un contratto nazionale. In tal modo un’azienda, anzi parte di uno stabilimento di un’azienda diventa autosufficiente rispetto al contesto generale, nei limiti, da verificare, dell’applicazione delle leggi. Se il sistema proposto da Marchionne reggerà alle contestazioni che verranno prodotte in giudizio[2], allora in Italia sarà possibile per chiunque farsi un contatto ad hoc; il contratto nazionale diventerà un inutile orpello. La frantumazione già avvenuta dei lavoratori, attraverso la costruzione delle catene di subfornitura e la terziarizzazione delle funzioni aziendali, troverà la forma contrattuale ad essa congruente. Se ciò avvenisse quindi un lavoratore italiano, a parte i diritti definiti dalle leggi[3], entrerebbe a far parte di una giurisdizione definita secondo lo schema “cuius rege, eius religio”; è l’azienda che decide il regime di regolazione sociale del lavoro a lei conveniente e, come ho già avuto modo di dire, ciò non significherà necessariamente un allineamento in basso, ma un processo di pura frammentazione della condizione di lavoro. Non è quindi un caso che vi siano tante reticenze, quando non vere e proprie ostilità, in Confindustria; se il contratto nazionale diventa un inutile orpello, allora la funzione della Confindustria si riduce a quello di una lobby.

Per chiudere il cerchio si introduce una trasformazione profonda rispetto alla rappresentanza dei lavoratori. Non solo, infatti, come ormai noto a tutti, si sostituisce il meccanismo del protocollo del 1993 con il testo della legge 300 sullo “Statuto dei diritti dei Lavoratori”. Il punto è che non solo ciò facendo si sostituiscono le RSU, elette, con le RSA, nominate[4], ma si aggiunge anche che “l’adesione al presente accordo di terze parti è condizionata al consenso di tutte le parti firmatarie”. Tale aggiunta, importata dalla tradizione USA del closed shop, ha un effetto micidiale poiché non è difficile tracciare la seguente sequenza logica: un’azienda negozia l’accordo che desidera con uno o più sindacati disponibili; ciò fatto qualifica l’accordo di primo livello e dice che nessun altro può entrare nel sistema se tutti gli altri non sono d’accordo; le RSA sono per chi ha firmato l’accordo, quindi da quel momento in avanti in quell’azienda nessun’altra organizzazione può partecipare ai diritti di rappresentanza sindacale. In questo modo l’azienda può scegliere i sindacati che desidera avere come interlocutori interni; si tenga conto che nel closed shop USA bisogna vincere un elezione con il 50%+1 dei voti, ma che in Italia non c’è alcun obbligo di sottoporre quello specifico accordo a un referendum e quindi lo si può utilizzare o meno, a discrezione.



[1] Nella premessa dell’accordo sta scritto: “ Ai fini operativi la Joint Venture, che non aderirà al sistema confindustriale, applicherà un contratto collettivo specifico di primo livello che includerà quanto convenuto con la presente intesa”.

[2] Il punto debole dell’accordo è l’affermazione che alla joint venture non si applica l’art 2112 del codice civile sulla cessione del ramo d’azienda con il conseguimento trasferimento ai lavoratori del precedente quadro di diritti; tale affermazione è del tutto immotivata.

[3] Leggi che, per quanto concerne il lavoro, hanno, su impulso dell’Unione Europea, fortemente ridotto il carattere vincolante di norme come quelle sull’orario di lavoro.

[4] Rappresentanze Sindacali Unitarie e Rappresentanze Sindacali Aziendali